Scritto – Abbazia di Vallingegno – Castello di Petroia

Coordinate: 43°15’04.8″N 12°33’44.6″E

Popolazione: 34 abitanti
Altitudine: 593 metri sul livello del mare

ABBAZIA DI VALLINGEGNO

A pochi chilometri da Gubbio, sulla cima di dolce una collina, che domina due bellissime vallate, c’è l’Abbazia di Vallingegno, inserita in una natura incontaminata che sembra voler riportare indietro nel tempo.
Non è noto il periodo di fondazione dell’abbazia, ma è già citata nella “Legenda Sancti Verecundi” (sec. VII).
In questa, si racconta del martirio di un giovane cavaliere convertito alla religione cristiana, che partito dalla Francia, attraverso la Liguria, l’Erminia e la Flaminia, entra in Umbria per Liceoli e Gubbio.
E ancora, per luoghi montuosi e vallivi, tra castelli e fortificazioni, arriva a Roma a venerare la tomba degli apostoli.
Di ritorno da Roma si fermò a Gubbio ormai convertita al cristianesimo e retta da un Vescovo; di li si recò nella zona dello Scritto ove si trovavano comunità di pagani forti in particolare a Vallingegno che aveva preso il nome da un tempio dedicato al Dio del Genio venerato dagli Eugubini.
Altro tempio pagano sorgeva in S. Pietro in Vigneto (Marte Cyprio).
Verecondo si recò a predicare la vera fede in quelle contrade operando miracoli e conversioni.
I capi dei pagani gli intimarono di allontanarsi ma non avendo il Santo aderito lo uccisero lapidandolo, presso il ponte del fiumicello Turreno probabilmente verso la metà del sec. VII.
Col tempo convertitasi al Cristianesimo tutta la popolazione, il corpo del Santo fu ritrovato e collocato in un sarcofago tuttora esistente che costituisce l’altare della Abbazia.
Intorno alla Catacomba anteriore all’anno 1000, sorse poi l’odierna Abbazia.
Dopo l’anno 1000 si stabilirono a Vallingegno i monaci Benedettini che onorarono e custodirono le spoglie di S. Verecondo.
Il monastero è citato in molte pergamene conservate nell’archivio della cattedrale di Gubbio.
Nel 1131 e nel 1154 – in un atto di transazione con l’abate di San Pietro in Vigneto – si nomina una “ecclesia Sancti Verecundi“; in altri documenti del 1143, 1170 e 1182, si parla invece di una “cappella di S. Verecondo“.
Il primo atto nel quale compare il monastero risale al 1191 e lo troviamo ancora citato in una carta del 1211.
Il termine “monasterium” viene usato probabilmente al posto di “ecclesiam“, dal periodo di costruzione dell’abbazia benedettina, detta anche “de Spirtis” o “de Spicis“.
IL complesso abbaziale fu ampliato e restaurato intorno al 1220.
L’abbazia, officiata dai monaci benedettini per circa quattro secoli, rimane un centro fiorente fino al tempo della soppressione avvenuta intorno al 1442.(1)
Fu il papa Eugenio IV che pose l’abbazia di Vallingegno in regime di commenda, consentendo ai monaci di rimanervi.
La comunità benedettina di Vallingegno divenne talmente potente, che nel sec. XIII possedeva un ospizio presso Gubbio e grazie alla sua potenza attirò molti patrizi eugubini che portarono la loro dimora a Vallingegno, che costituiva un centro fortificato, facente capo al castello.
Nel 1355 il castello di Vallingegno – a poca distanza dal monastero- muovono contro la stessa Gubbio per ottenerne lo stato d’indipendenza...” (1)
Il Comune eugubino non concesse nulla, organizzò un esercito di mercenari, comandati dal Bastardo della Pergola e assediò Vallingegno e alla fine, stremati da mesi di fame, i religiosi furono costretti alla resa.
Da quel momento la potenza di Vallingegno cominciò a declinare.
Nel 1579 i religiosi furono licenziati dal convento: il primo ottobre la badia è ridotta in commenda e sottomessa ad una vicaria perpetua, con l’assegnazione di una quota di terreno come rendita.
La chiusura del convento, tuttavia, non influisce sul nuovo periodo di prosperità che la comunità ritrova nel XVIII secolo. Dal catasto extraurbano del Ghelli e dai relativi brogliardi risultano infatti numerosi ed estesi possedimenti a nome dell’abbazia di Vallingegno
” (1)
 

Aspetto attuale

Il complesso attuale è composto dalla chiesa a sala unica, dalla torre sulla quale è costruito il campanile a vela e dal monastero, che si sviluppa per tre lati intorno al chiostro.
L’importanza della struttura è testimoniata non solo dalle dimensioni considerevoli, ma anche da scelte architettoniche come il campanile a doppio fornice, usato di solito per le comunità maggiori.
All’interno della chiesa si conservano tracce degli impianti preesistenti, in particolare nella cripta la crociera di copertura è impostata su semicolonne con capitelli scolpiti secondo stilemi antecedenti all’XI secolo.
L’ambiente, a pianta quadrata con pilastro centrale a rinforzo della volta, è chiuso da un’abside semicircolare nascosta, all’esterno, da aggiunte posteriori.
Tra gli arredi della navata, di cui abbiamo un’attenta descrizione del secolo scorso – per mano del Turchi e del Manuali -, troviamo già da allora due suppellettili di epoca romana: un sarcofago in marmo bianco, che regge la mensa dell’altare e un frammento di colonna in marmo cipollino, posta sotto l’acquasantiera
“. (1)
Le case coloniche, nate posteriormente intorno alla corte, hanno occupato i grandi ambienti che originariamente ospitavano le officine del monastero.
 

Origini

“Anche Vallingegno potrebbe avere origini pagane, si parla di un tempietto dedicato al dio Genio – da cui il nome Vallis Genii – venerato dagli eugubini, che sembra si aggirasse tra queste selve.
E’ da notare come, nella zona, templi di culti diversi sorgono sugli stessi punti del territorio;… a Caprignone, a S. Pietro in Vigneto e qui a Vallingegno.
Non abbiamo certezza del sacrario, né della sua eventuale distruzione avvenuta, probabilmente, con l’avvento del culto cristiano nei dintorni, certo è che il paganesimo nelle aree più isolate come questa, resiste a lungo.
Forse è dallo stesso tempio che provengono alcuni ornamenti esistenti nella chiesa attuale, ma la loro presenza, come quella di tutti i ritrovamenti di cui abbiamo parlato, testimoniano sicuramente un passaggio in età romana e non necessariamente un insediamento”
 (1)
 

Presenza di S. Francesco e S. Ubaldo

Il ricordo di questa Abbazia rimane particolarmente vivo per episodi legati ai due Santi umbri: Francesco di Assisi e Ubaldo, patrono di Gubbio (1085-1160).
Quest’ultimo, giovanetto, viaggiando con la madre, per dissetarla fece zampillare nelle vicinanze una sorgente d’acqua, battendo la terra con il suo bastone. Molti sono, ancora oggi, i pellegrini che si recano alla fonte, per bere la miracolosa “acqua di S. Ubaldo” che si dice guarisca alcune malattie.
“Vallingegno potrebbe essere il monastero presso il quale il Santo chiese accoglienza dopo l’incontro con i briganti” (1)
A Capngnone infatti, a circa 2 chilometri da Valiingegno, fu aggredito da alcuni briganti che Io percossero barbaramente e lo gettarono a terra nella neve, mentre il Santo per nulla turbato invocava le lodi e il perdono
del Signore.
Di li giunse al convento presso la chiesa di S. Verecondo di Vailingegno dove monaci lo accolsero in modo sgarbato e malevolo, obbligandolo a pesanti lavori, solo più tardi essi si ricredettero; qui rimase finché non gli fu concessa una tonaca.
Nell’epoca francescana non esisteva la odierna strada Perugia-Gubbio, e per recarsi da Gubbio ad Assisi occorreva percorrere una mulattiera che passava da Vallingegno, precisamente sotto il castello, ave sono visibili ancor oggi
vicino ai ruderi delle mura esterne i segni di un antico tracciato e avanzi di ponticelli.
Questa strada collegava la repubblica di Gubbio con la Flaminia, partendo da Borgo S. Pietro di Gubbio, costeggiando il fiume Rinocchio e per Vallingegno, S. Pietro in Vigneto e Biscina arrivava a Valfabbrica.
La leggenda narra pure che S. Francesco, dopo che ricevette le stimmate, era solito cavalcare di notte su un
asineilo, nei dintorni per la campagna solitaria, malgrado gli avvertimenti dei monaci e dei contadini in
ansia per la presenza di un ferocissimo lupo.
Fu proprio in un bosco nei pressi di Vallingegno che avvenne l’incontro e il miracolo della conversione di Frate Lupo con il patto di pace che trasformò la belva in un quieto animale domestico.
Il corpo del lupo ammansito fu alla sua morte sepolto nella chiesa di S. Francesco della Pace a Gubbio, ove
ancora la tomba è oggetto dell’interesse dei visitatori.
 

Primo Capitolo Francescano

Ed è tra questi boschi, che il “Poverello di Dio” convocò il primo “Capitolo” dei trecento frati nel 1223 (24?), più precisamente alla chiesa di Caprignone nel 1223, “durante il quale furono i benedettini di Vallingegno a offrire cibo ai francescani convenuti” (1)

La presenza del Santo è ricordata in una lapide affissa all’esterno della chiesa (come da Foto della galleria) che così recita :
IN QUEL TEMPO IL BEATO FRANCESCO IL POVERELLO SPESSO ERA OSPITATO NEL MONASTERO DEL BEATO VERECONDO E IL DEVOTO ABATE E I MONACI GENTILMENTE LO ACCOGLIEVANO. NEL CONVENTO FRANCESCO FECE IL MIRACOLO DELLA SCROFA CHE DIVORO’ L’AGNELLO. INTORNO AL MONASTERO FRANCESCO FECE IL PRIMO CAPITOLO DI TRECENTO FRATI E L’ABATE E I MONACI DETTERO GENTILMENTE, PER QUANTO POTERONO, IL NECESSARIO. FURONO PORTATI IN ABBONDANZA PANE ORZO, FRUMENTO, ACQUA LIMPIDA DA BERE E VINO DISTILLATO PER GLI INFERMI. DI QUESTO PORTO’ TESTIMONIANZA L’ANTICHISSIMO SIGNORE ANDREA CHE ERA PRESENTE; CI FU ABBONDANZA DI FAVE E LEGUMI.
LEGGENDA DELLA PASSIONE DI S. VERECONDO SOLDATO E MARTIRE SEC XIII
 

Miracolo della scrofa

Sempre in questo convento S. Francesco fece il miracolo della scrofa che è così ricordato dalle Fonti Francescane:
Mentre una notte il servo, dell’Eccelso era ospite nel monastero di San Verecondo, nella diocesi di Gubbio, una pecora partorì un agnellino. C’era pur lì una troia crudelissima, la quale non guardando alla vita di quell’innocente, con vorace morso l’uccise.
Levatisi gli uomini la mattina trovarono l’agnellino morto e comprendono che la troia è colpevole del misfatto.
A tal notizia il pio Padre si muove a gran compassione e, ricordando un altro Agnello fa il lamento per la morte della bestiola ed esclama davanti a tutti: “Ahi, frate agnellino, bestiolina innocente, che sei rappresentazione tanto utile agli uomini! Maledetta sia quell’empia che ti uccise e nessuno mangi delle sue carni, né uomo né bestia!
Prodigio! subito quella malefica prese a star male, e dopo tre giorni di spasimi ebbe in castigo la morte; fu gettata nel fossato del monastero e vi stette per molto tempo, disseccandosi come un legno senza che nessuno, per quanto stimolato dalla fame, se ne cibasse.
 

Bibliografia

– (1) tratti da: ANNA RITA VAGNARELLI, Il sentiero francescano da Valfabbrica a Gubbio, in: M. Sensi (a cura di), Itinerari del sacro in Umbria, Firenze 1998, pp. 235-248.
– Fra TOMMASO DA CELANO “ Vita di San Francesco e Trattato dei Miracoli “ –Della troia maledetta che mangiò un agnellino- VITA SECONDA Parte Seconda Capitolo LXXVII pag. 284

http://www.sanfrancesco.com

Francesco Maloberti – L’Abbazia e il Castello di Vallingegno di Gubbio
Francesco Guarino, Alberto Melelli – Abbazie benedettine in Umbria – 2008
Giustino Farnedi, Nadia Togni – Monasteri benedettini in Umbria alle radici del paesaggio – 2014

CASTELLO DI PETROIA 

Il castello di Petroia è un castello nel comune di Gubbio. Nel 1422 vi nacque Federico da Montefeltro, futuro duca di Urbino; l’intero complesso ospita una struttura alberghiera.

Il castello, posizionato in collina nei pressi di Gubbio, oggi appare come un maschio centrale avente una poderosa torre di avvistamento a latere, ed annesso borgo fortificato; si affaccia con un vasto panorama sulla piana del Chiascio, dominando un ampio tratto dell’Appennino umbro-marchigiano ed in particolare il massiccio del Catria ed il monte Cucco. Costruito con alta valenza strategica, ha sempre fatto parte del sistema difensivo meridionale del comune di Gubbio prima e del ducato di Urbino poi. Assieme ai vicini castelli di Magrano, Castel d’Alfiolo, Caresto, Colpalombo, Biscina e Giomici, costituì per secoli un caposaldo militare eugubino, a difesa delle aggressioni di Perugia ed Assisi.

CENNI STORICI

Il primo documento sull’esistenza del castello di Petroia risale al 1072. In un atto di donazione, infatti, si parla di un “mansum in curte Petroij”;

Il duca Federico col figlio Guidobaldo
(P. Berruguete)

nel 1171 un altro rogito notarile, trovato nell’archivio comunale di Gubbio, conferma l’esistenza della “curtis Petroij” dalla quale dipendevano altre rocche.

Il 7 maggio 1257 Ugolino, conte di Coccorano conquistò il castello di Petroia ed altre fortezze limitrofe, dipendenti da questo.

I MONTEFELTRO

Nel 1384 Antonio da Montefeltro occupò il territorio di Gubbio e lo annetté al ducato di Urbino che, da quel momento, fino al 1508, dominerà l’intera regione in cui si trovava anche il castello di Petroia.

Non fu evento ordinario quello del 7 giugno 1422: nacque a Petroia dalla giovanissima Elisabetta degli Accomandugi, figlia di Guido Paolo e nipote di Matteo, Federico, poi diventato secondo duca d’Urbino. Elisabetta, dama di compagnia della contessa Rengarda, ebbe questo figlio in tenera età da una relazione adulterina con il marito di lei, il conte Guidantonio da Montefeltro.

Federico rimarrà legato a Petroia per tutta la vita, prediligendola come base per le battute di caccia con il falcone di cui era grande appassionato. Nel suo frequente soggiornare a Gubbio (fu costruito un palazzo ducale), divenuta con lui la seconda capitale dello Stato, Federico soggiornerà sovente a Petroia, assieme al fratello, il conte Ottaviano Ubaldini della Carda, e ai figli, Antonio e Guidobaldo da Montefeltro.

Guidobaldo, non ebbe prole e così dovette adottare nel 1504 il nipote Francesco Maria I della Rovere (la cui madre era sua sorella Giovanna) che, alla sua morte, ereditò il ducato, compreso il castello di Petroia.

LA FINE DEL DUCATO DI URBINO

Nel 1631, estintasi anche la dinastia dei della Rovere, il ducato di Urbino ed il castello di Petroia passarono alla Stato Pontificio.

Nel 1797 Napoleone Bonaparte occupò Gubbio, dichiarando soppressi le minuscole entità territoriali come Petroia, che dal quel momento, assieme a Gubbio, entrò a far parte del dipartimento del Metauro, restando legata alle Marche.

Dopo la caduta di Napoleone I, la suddetta zona tornò in mano al papa Pio VII il quale ordinò che i piccoli comuni appodiati si aggregassero a quello maggiore. Petroia divenne comune appodiato di Gubbio fino al 1837. Dopo il 1837 anche questa dicitura scomparve.

XX SECOLO

Il 10 aprile 1925 David Sagrini acquistò il castello e l’annessa proprietà di oltre 1000 ettari; intorno al 1988 iniziarono i lavori di restauro e ammodernamento del castello, riguardante i tre edifici che compongono la rocca (la torre, il castellare maggiore e quello minore).

Fonte Wikipedia